Ipotizzare il futuro che ci aspetta è come entrare per la prima volta in una stanza buia. Non puoi sapere se troverai oggetti disseminati ad inciampare i tuoi passi, perché di quella stanza non sai nulla. Non ne conosci gli ingombri, non sai se sbatterai la testa da qualche parte o se il pavimento lascerà il posto ad un’improvvisa voragine. Non sai nemmeno se in quella stanza è presente qualcun altro, come te intimorito oppure al contrario ostile e determinato. Se ci sono animali o insetti, trappole, vicoli ciechi o aiuti inaspettati.
Una cosa sola puoi dare per certa. Per uscirne dovrai esplorare: muoverti, fare appello alle tue conoscenze pregresse, al buon senso ed alla capacità analitica. Comincerai a tastare il pavimento, misurerai in passi l’ampiezza di ogni lato, procederai lungo i muri ricordando ogni imperfezione dell’intonaco. Sceglierai strategie migliori di altre in base all’esperienza ed alla propensione al rischio. Userai quello che hai letto, visto e pensato in passato per interpretare le incognite, cercare spiegazioni, guardare oltre il muro invisibile dei tuoi occhi inermi.
Così per noi oggi. Nell’epicentro di una crisi mondiale dai contorni ancora rarefatti, cerchiamo fili per intrecciare una trama di ipotesi, tèssere per ricomporre un mosaico intricato, di cui ancora ci sfugge il disegno complessivo.
Il mondo del futuro che abbiamo fin qui dipinto non sembra però corrispondere a quello che ci saremmo immaginati. Per quanto percorso da suggestioni, nuove consapevolezze ed inaspettate svolte, somiglia sempre più ad una favola distopica.
Una favola del tutto opposta a quelle rappresentazioni che annunciavano il primato dell’essere umano sull’economia, il benessere e la conoscenza diffusi, la libertà dai gioghi dell’esistenza, la fine della povertà.
Al contrario: ci viene offerta la prospettiva di una società isolata e sospettosa, atomizzata nelle strutture e negli affetti, su cui grava un’insaziabile volontà di controllo delle menti e dei corpi realizzata attraverso i pervasivi e sofisticatissimi strumenti della tecnologia e della medicina.
I lati oscuri del futuro
In queste pagine ci siamo sforzati di rintracciare elementi positivi all’interno di contesti irrisolti e multifattoriali, di cogliere segni favorevoli ovunque vi fossero, senza cedere al facile conformismo del “complotto” e delle sue, grottesche, verità rivelate. Perché – lo sappiamo – dietro ogni complotto c’è innanzitutto la volontà di sentirsi parte di un consesso laterale ed evoluto. Un gruppo scelto, minoritario, eletto, riservato, impermeabile alle soluzioni semplificate usate per acquietare il popolo bue e le sue beduine occorrenze.
Chi si sente parte di questo schieramento, tuttavia, spesso non si rende conto di partecipare ugualmente ad una moltitudine. Ignora quanto vasto possa essere il fronte del dissenso, quanto estesa sia la voglia di sostituire al dolore feroce dell’incertezza una nuova acquietante soluzione. Poco importa se questa nuova versione dei fatti sia popolata di trame segrete, manovratori ostili, misteri e vicissitudini oscure, attentati alla democrazia e innominabili interessi da mantenere.
Qualsiasi verità è meglio di una non-verità; qualsiasi sguardo è meglio di un non-sguardo, soprattutto se questo deve essere rivolto verso l’abisso profondo e la sua oscurità speculare impossibile da reggere. Ad ogni divinità, si dice, serve che succeda un altro dio: altrimenti non resta nulla in cui credere e dal nulla si rischia di essere ingoiati.
Di questo esercito in rivolta, però, un tratto sugli altri si eleva maestoso e lucente. La capacità di nutrire il Dubbio. Quale che sia il contesto di riferimento, piantagrane, linguelunghe ed anticonformisti hanno insegnato all’umanità a pensare altrimenti, scostandosi dai binari rettilinei dei dispacci ufficiali per avvicinare strade laterali, impervie, vicoli ciechi e cunicoli. Il loro coraggio e la loro sventatezza hanno permesso di restituire spesso una versione dei fatti opposta o diversa della realtà; hanno contribuito a riscrivere storie, estendere narrazioni, hanno voltato la moneta per confermare quanto sia genuino l’arbitrio del caso.
Grazie anche al loro contributo, oggi si è potuto riflettere sul concetto di emergenza. Su cosa significhi e chi la possa causare o dirigere. Cosa si sia disposti a fare pur di scongiurarla, a cosa sia possibile rinunciare, fin dove si sia disposti a cedere. Questa pandemia, che fin da subito ha avuto i tratti dell’emergenza, lascia aperti enormi interrogativi. A partire dal primo, senza risposta.
Se davvero è questo il futuro che ci aspetta, perché somiglia dannatamente a quel futuro da cui ci avevano messo in guardia?
L’ipotesi che questa pandemia sia stata strumentalizzata per piegare le resistenze e imporre provvedimenti che altrimenti non sarebbero stati accettati, questa ipotesi dicevo, rischia per molti versi di diventare ben più che un’avventata congettura.
Dall’invasione delle tecnologia – che si trasforma da mezzo a condizione necessaria per l’esistenza – fino all’irruzione nella dimensione corporea, che smette di essere un inviolabile tempio di diritti inalienabili. Dalla robotizzazione e smaterializzazione del lavoro fino alla scomparsa di tutti gli organismi di rappresentanza e tutela collettiva, gli stessi che hanno coadiuvato la nascita dei diritti dei lavoratori ancora in atto. Dalla mutilazione dei rapporti interpersonali fino alla censura o soppressione di tutte le opinioni non strettamente tecniche, quasi che il diritto di espressione sia ad appannaggio esclusivo di un solo gruppo.
Fa sorridere constatare che le soluzioni adatte a contrastare il Covid 19 corrispondano in gran parte a quelle proposte in passato per fare fronte ad altre condizioni straordinarie, a loro volta definite emergenziali. E si dovrebbe discutere, non tanto della gravità degli avvenimenti (di cui, abbiamo visto, esistono seri motivi di preoccupazione), quanto piuttosto sulla legittimità e sincerità di coloro che ci propongono le vie d’uscita: dei loro interessi e dei loro moventi.
Ed anche: che ruolo hanno avuto questi nostri presunti salvatori nella genesi e nello sviluppo della crisi di questi mesi? Hanno potuto servirsene per un qualche scopo? Hanno potuto orientarla, incoraggiarla, piegarla? Tutta la discussione si sposta allora sulle possibilità della tecnica, intesa come alta forma di razionalità umana, sui suoi limiti etici e sulle strutture preposte al suo controllo.
Tecnica implacabile
Da Adorno in poi, abbiamo capito che la scienza e la tecnica – questo va compreso fino in fondo – non agiscono per uno scopo. Non lavorano per raggiungere un obiettivo determinato ma esistono in quanto tali. La loro volontà di conoscere, addomesticare e controllare ogni aspetto dell’esistenza – dalla perlustrazione dello spazio fino al dominio delle nanoparticelle – risponde al solo imperativo della dimostrabilità scientifica. Nessun altro limite, che sia etico o intellettuale.
Non si può più nemmeno parlare di tecnica al servizio dell’uomo: oggi la tecnica è diventata autoreferenziale al punto di essersi posta al centro dell’intera storia umana contemporanea.
In questa assenza di limiti e contenimenti, è chiaro che se qualcosa può essere fatto dalla scienza, dobbiamo essere certi che prima o poi verrà realizzato. Che si tratti della costruzione di una macchina meno inquinante come della progettazione di un supervirus, è solo una questione di tempo e di mezzi disponibili.
Qui non si vuole ribadire la tesi che la pandemia di Covid 19 sia una sorta di azione indotta da un qualche neo-terrorista con desiderio di dominio. Ma ribadire il fatto che, anche di fronte a questi avvenimenti, occorre reagire e difendersi “come se” fossero un’azione deliberata per finalità di mantenimento o gestione del potere.
Dobbiamo permetterci il lusso di un ragionamento profondo, che non sia schiavo delle necessità momentanee e delle urgenze della cronaca. Una riflessione che applichi restrizioni etiche e protocolli precauzionali, che metta al centro il bene pubblico e le necessità collettive.
Agire “come se”
Il lungo lockdown e le forzate restrizioni che abbiamo subìto, hanno in qualche modo permesso – e lo si è scritto in molte sedi – di mettere in scena un esperimento sociale senza precedenti. Dalla compressione delle libertà di spostamento e lavoro fino alla limitazione delle regole democratiche al di fuori degli organismi costituzionali, si è potuto valutare come la scienza e le sue propaggini tecniche siano state in grado di sovvertire l’agenda del pianeta dettando nuove regole non approvate da alcun organo elettivo o democratico. Questo è pacifico.
Come è pacifico che la verità sui fatti è stata deposta nella mani di un gruppo di persone specializzate e tecniche non vincolate da controllo alcuno, quindi potenzialmente assolte da obblighi e leggi. Un precedente profondamente antidemocratico perché dove le opinioni non sono soggette a discussione si prescinde quel requisito di trasparenza e la successiva fase del dibattito pubblico necessarie a generare un giudizio condiviso.
La mancanza di condivisione conduce poi ad una partecipazione pubblica solo tramite l’appartenenza a fazioni o schieramenti contrastanti ed opposti. Queste si limitano a registrare prese di posizione confezionate e ricche di stereotipi, a cui si aderisce per puri meccanismi di fede. Chi sta di qui, chi di là: entrambi però appiattiti nella logica dualistica e bicromatica. Tutti però impossibilitati a governare lo spazio intermedio, le modulazioni del grigio, le sfumature di cui si nutre sempre la realtà.
Come ogni racconto, il possesso dell’esclusiva permette la costruzione di un frame narrativo all’interno del quale tutto può essere infilato senza mostrare contraddizioni evidenti. Un frame che può essere utilizzato per incastrare volontà diverse da quelle meramente strumentali alla risoluzione del problema, così da dare senso nuovo a parole comuni.
La forzata lontananza appare quindi “benefica” e non “alienante”, la violazione coatta del corpo diventa “salutare”, il controllo sugli individui sembra “necessario” e “rassicurante”.
A chiunque abbia a cuore il mantenimento delle regole democratiche, i princìpi di convivenza civile e le legislazioni a tutela dell’individuo, non può che generare allerta quell’intricata matassa di sovvertimenti sostanziali simili a quelli che stiamo vivendo. Che esista poi un “grande pericolo comune” cui dobbiamo fare fronte, non deve relegarci nella rassicurante condizione di demandare agli altri la scelta e la sorveglianza.
Al contrario, tutto questo ci investe direttamente della responsabilità di maturare domande e interrogativi, porci sempre nei termini della contraddizione verso la realtà ufficiale. Metterci insomma nella posizione di alimentare il Dubbio come fonte primaria di tutela personale e collettiva. Impedire che si usino strategie comunicative atte a ridicolizzare chi pone domande, ad allontanare chi non si sente affine alle logiche di gruppo, a biasimare chi pretende discussioni e scelte condivise. In gioco c’è ben più di quello che si crede:
- Un olocausto dei principi costituzionali, di tutte le norme maturate a fatica con lotte, conflitti e guerre civili
- La meccanizzazione e la standardizzazione delle generazioni tramite un’educazione alleggerita e scialba, pensata per produrre coscienze in serie, docili e disarticolate
- La penalizzazione della dimensione lavorativa, attraverso un sistema di assistenza gratuita che indebita il Paese e pone le basi per la disgregazione di ogni coscienza collettiva
- La deregolamentazione dei capitali privati, con la conseguente crescita esponenziale di grandi soggetti economici dai poteri assoluti
- L’istituzionalizzazione della paura come sentimento divisivo e dominante, utilizzato per allontanare le persone e creare conflitti intestini alle comunità
- La produzione di un uomo a conti fatti asettico e parcellizzato, che non conosce il valore delle proprie libertà ed è pronto a cederle in nome di un pugno di lenticchie
Che tutto questo sembri fantascientifico oppure immotivato, lasciamolo dire al tempo. Del resto, dove le difese democratiche cedono, dove l’emergenza propone uno stato di cose fuori dall’ordinario, straordinarie dovranno essere anche le attenzioni e le misure di tutela adottate da tutti noi.
Agenda del Futuro
Progetto collettivo di analisi socio-politica sul Covid 19. Scenari post Coronavirus: opportunità e vicoli ciechi. Cosa possiamo imparare dall’epidemia di Covid 19. Tutto il materiale contenuto nel sito è riservato e non può essere riprodotto senza l’esplicito consenso degli autori.
Testi aggiornati il 4 maggio 2020.
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