NODO 2
Il ruolo
della tecnologia
Dall’automazione diffusa all’incidenza sulle dinamiche lavorative
Dall’automazione diffusa all’incidenza sulle dinamiche lavorative
e nuovo ruolo del lavoro rispetto al consumo
Quando si parla di reddito universale, o reddito garantito, solitamente parte un fuoco di fila sterminato. Che provenga dalle corporazioni industriali, oppure da fazioni politiche poco importa: esiste un fronte compatto che non accetta nemmeno che si discuta in termini generali di questo argomento. Ma proviamo a non cadere vittima dei pregiudizi: proponiamo una riflessione partendo dai dati.
Si calcola che nei prossimi anni (entro cioè il 2030) da 400 a 800 milioni di posti di lavoro verrano ridotti, spostati, ottimizzati, accorpati o semplicemente eliminati. Questi numeri draconiani sono imputabili innanzitutto allo sviluppo tecnologico ed in seconda battuta all’evoluzione di nuove richieste del mercato, che naturalmente indurrà a virare la produzione di beni e servizi verso nuovi obiettivi e standard.
Parallelamente, si calcola che da 75 a 300 milioni di persone dovranno modificare la propria occupazione apprendendo altre competenze oppure muovendosi verso nuove categorie professionali.
Questo è normale, va detto: lo sviluppo tecnologico ha sempre tracciato linee inclementi sopra le abitudini umane, promuovendo scelte lavorative o affossandone altre. Non serve molta fantasia per ricordare tutte quelle professioni, ora superate dalla storia, che solo fino a qualche anno fa sembravano normali o molto diffuse. Come del resto è vero che alcune occupazioni, ritenute estinte, sono oggi tornate alla ribalta e magari, grazie ad un nuovo approccio più tecnico ed evoluto, hanno saputo mutare in lavori decisamente ricercati e specialistici.
Tuttavia, il processo di robotizzazione diffusa – di cui abbiamo già parlato – farà davvero da spartiacque. Ridurrà in modo sistematico alcuni lavori (soprattutto quelli ripetitivi e ciclici) senza richiedere per forza la nascita di professioni parallele, destinate al controllo oppure legate alla medesima filiera produttiva.
Questo comporterà una sorta di cortocircuito all’interno delle economie evolute. Da una parte l’efficientamento e la robotizzazione dei sistemi produttivi porterà alla creazione di prodotti migliori, più complessi e forse addirittura meno cari. Dall’altra, la perdita diffusa del lavoro potrebbe generare l’impossibilità, per una grande fetta della popolazione, di acquistare quei medesimi beni.
Molti analisti sono arrivati dunque alla conclusione che il solo modo per mantenere vitale un’economia, nonostante queste forti trasformazioni, sarà quello di offrire a tutti i cittadini un “reddito minimo universale”.
Con questa espressione si intende una dotazione economica mensile concessa incondizionatamente a tutti, senza che sia richiesta prova della propria efficienza lavorativa. Una sorta di garanzia minima che la collettività tributa all’individuo per farlo partecipare attivamente alla vita comunitaria.
Naturalmente destinato a chi non è in grado di raggiungere una cifra definita “adeguata” alla sopravvivenza minima, questo reddito avrà tutta una serie di conseguenze positive. Partiamo dalla formazione e dalla riqualificazione dei lavoratori che, come abbiamo visto è uno snodo determinante del ragionamento.
Il reddito permetterà ai destinatari di accedere a percorsi di apprendimento senza preoccuparsi della propria sopravvivenza. Questo consentirà di elevare gli standard professionali e culturali della popolazione e ridurre sistematicamente la quota di lavoratori sottoqualificati, quindi incapaci di integrarsi nelle nuove economie produttive.
Inoltre, favorirà la nascita di nuovi modelli di business su base imprenditoriale. Sottraendo dall’equazione “stipendio=sopravvivenza” l’elemento più vincolante, infatti, molte più persone si sentiranno libere di sperimentare percorsi economici innovativi e stimolanti, legati ad attitudini e passioni, più in linea con le reali competenze della persona.
Ancora: grazie a questo reddito, una parte significativa dei cittadini potrebbe richiedere di partecipare a programmi di occupazione part-time. Questo significherebbe mantenere un tenore economico simile nel tempo, elevando però la qualità della vita e la quantità di tempo da spendere in famiglia. Si permetterebbe di desaturare le occupazioni, richiedendo sempre più lavoratori nei vari settori, a parità di costi per le aziende. Più occupati, tutti al lavoro per meno ore. Ma in realtà i vantaggi di questa innovazione assistenziale e culturale sono sistemici. E molti studi, condotti su popolazioni pilota, sembrano prevedere molte evoluzioni positive.
Certo vi sono anche possibili obiezioni, la prima delle quali si può condensare nel timore che una popolazione sovvenzionata economicamente diventi debole, restia al lavoro e sostanzialmente parassitaria. Per quanto questo possa sembrare vero, i dati sembrano suggerire il contrario.
Le popolazioni meno preoccupate per la propria sopravvivenza tendono ad essere più attaccate al lavoro, più produttive (quindi capaci di realizzare migliori risultati in minor tempo), maggiormente felici ed autorealizzate, più dotate di intuizioni strategiche ed infine anche più longeve.
Questo reddito, inoltre, servirebbe a ridurre le iniquità dei sistemi economici. Coloro che si trovano ai margini delle comunità (disoccupati, sotto-occupati, senza fissa dimora, genitori di famiglie numerose ecc.) troverebbero quell’aiuto necessario a rientrare in pieno nei canoni di sopravvivenza dignitosa. Questo, tra l’altro, significherebbe sgravare la comunità da tutta una serie di costi indiretti, necessari per il sostegno dei poveri e degli individui indigenti o non integrati.
Infine, l’impatto sull’economia sommersa. Un lavoratore che percepisce un reddito garantito può permettersi di scegliere. Può rifiutare occasioni di lavoro mal pagate, pagate in nero, poco sicure, clandestine, che alimentano la criminalità organizzata e gli illeciti traffici. Questo sistema costringerebbe ad una rapida regolarizzazione delle professioni borderline, oggi svolte da manodopera poco qualificata e senza tutela, così da alimentare un rinnovamento dell’apparato produttivo verso standard migliori e più appaganti per tutte le parti coinvolte.
Resta una sola questione da chiarire: chi finanzierebbe questo reddito? Chi si accollerebbe questa spesa, oggettivamente robusta, fino a quando non si potranno verificare i reali benefici sistemici di questo processo? A questo argomento – come in generale al problema del finanziamento delle nuove misure future – abbiamo dedicato un capitolo più avanti.
Il reddito universale rappresenta un’occasione per vitalizzare un sistema economico che altrimenti rischierebbe la stagnazione. Le grandi sfide, come più volte abbiamo visto, consisteranno nello sforzo di vincere le robuste resistenze degli attori (aziende in primis) imponendo loro di condividere gli utili derivati della nuove posizioni di superiorità tecnologica
Progetto collettivo di analisi socio-politica sul Covid 19. Scenari post Coronavirus: opportunità e vicoli ciechi. Cosa possiamo imparare dall’epidemia di Covid 19. Tutto il materiale contenuto nel sito è riservato e non può essere riprodotto senza l’esplicito consenso degli autori.
Testi aggiornati il 4 maggio 2020.
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Propongo una nuova moneta che trova i fondi per Reddito Universale.
La moneta biologica si usura col tempo e lo scambio.
In un modello ogni anno e a ogni scambio un dodicesimo del suo valore è perduto.
La moneta biologica deve essere riemessa costantemente altrimenti scomparirebbe.
La sua riemissione, al contrario delle monete comuni, non genera inflazione.
La moneta biologica elimina le tasse e l’evasione fiscale e i paradisi fiscali e il fisco stesso!
La pressione fiscale diventa impersonale e a carico della moneta stessa.
Non c’è necessità quindi di dichiarazione dei redditi né di tutta la burocrazia connessa e il fisco diventa inutile.
La moneta biologica è prodotta in ragione delle persone stesse che è come se la generassero col loro respiro.
Una parte allora può usarsi per pagare la spesa pubblica senza dovere rivolgersi ai contribuenti mentre un’altra può costituire un REDDITO UNIVERSALE.
La pressione fiscale rimane progressiva perché i redditi bassi hanno il prelievo fiscale compensato dal REDDITO UNIVERSALE che gradualmente diventa insufficiente a compensare i redditi alti.
In totale si ha l’eliminazione di tutte le tasse, a meno che non si vogliano regolare particolari settori, e una redistribuzione della ricchezza.
Buongiorno Jerry,
grazie per il suo commento: qui non si tratta di scegliere quale forma di moneta permetterebbe la creazione di un reddito.
Si discute – al contrario – della necessità del Reddito Universale come strumento per ri-distribuire la ricchezza in tutta la parte di popolazione che – di questo sviluppo – coglie solo la parte deteriore.
Già adesso nell’agenda politica andrebbe – ed in parte viene – inserito il tema del reddito. Qui si propone l’evoluzione dell’argomento: un reddito endemico alla comunità per sostenere e (in parte) appianare delle storture che il mercato non è in grado (endemicamente, appunto) di eliminare e di auto-governare.