La “novità”
della pandemia
Una premessa necessaria
Una premessa necessaria
Cominciamo questo viaggio con la domanda delle domande: la pandemia scoppiata in questi mesi è un fatto unico e straordinario? Certamente no: ne sono accadute molte nella storia recente (ad esempio nel 1918, 1957, 1968) e molte altre ne sarebbero scoppiate se non fossero state confinate nei paesi di origine oppure risolte, parzialmente o totalmente, grazie all’avvento di alcuni nuovi farmaci o vaccini. Pensiamo all’HIV, mai sconfitto del tutto ma tenuto più o meno sotto controllo in Occidente (in Africa infatti non sono così fortunati: l’AIDS miete valanghe di vittime ogni anno). Oppure pensiamo all’influenza H1N1 (2009/2010) o le varie versioni della SARS, MERS ecc.
Carattere eccezionale di questa epidemia, tuttavia, è stata la rapidità di diffusione e l’aver investito l’occidente con una virulenza impensabile solo pochi mesi fa.
In fase iniziale, e nonostante molti scienziati e intellettuali avessero avvisato i politici e l’opinione pubblica dei possibili rischi di una nuova pandemia, le misure prese per prevenire o contrastare gli eventi sono state poche e disorganizzate. Ma soprattutto sono state studiate su misura per non limitare, o in qualche modo ostacolare, lo sviluppo economico delle varie Nazioni o imprese. Le priorità sono state altre: ha prevalso un sentimento conservativo atto a tutelare l’esistente piuttosto che valutare concretamente la forza della minaccia possibile.
Questo approccio ha fallito. Ha mostrato falle enormi e lacune scandalose. Ma soprattutto ha messo in pericolo l’intera popolazione mondiale in nome di non ben dichiarati interessi pubblici o privati. Nella fattispecie, ha esposto al contagio la parte più debole ed indifesa della popolazione: gli anziani e i malati. Anche di questo, qualcuno sarà chiamato a rispondere, nel prossimo futuro.
Più in generale, per come si è propagata e per quanto ha sgretolato il nostro sistema di certezze costituito, l’epidemia di Covid 19 ha messo in evidenza zone d’ombra che tutti conoscevamo ma che si faticava a mettere all’ordine del giorno. Negli scorsi mesi o anni abbiamo semplicemente “dimenticato” di prepararci a scenari di questo tipo, isolando le cassandre che ci avvertivano del pericolo e che richiamavano alla prudenza. A poco sono servite le loro opinioni, le proiezioni ed i modelli che mostravano quanto la catastrofe fosse alle porte. Incapaci di scelte radicali che avrebbero avuto ripercussioni sugli interessi privati e sulle posizioni acquisite, abbiamo chiuso occhi e orecchie.
Alla fine l’inevitabile è accaduto. E, come sempre succede, ha mostrato quanto nudo fosse il re. Quanto deboli fossero le nostre certezze, quanto precarie le nostre granitiche convinzioni. Anche per questo motivo, la pandemia avrà ripercussioni pesanti su tutti noi. A partire dal modo in cui tutti percepiremo il rapporto con gli altri, il concetto di lavoro e di libertà, l’identità individuale e collettiva, il significato di termini come “democrazia”, “sicurezza” e così via.
In attesa di un vaccino che possa ridurre i rischi di contrarre questa infezione – quando arriverà, se sarà efficace e tempestivo, se ancora sarà necessario – dovremo in prima battuta occuparci di ridare assetto ad un mondo destabilizzato. Successivamente, occorrerà predisporre infrastrutture capaci di scongiurare o minimizzare il pericolo di una nuova epidemia che – ce lo dicono ancora gli scienziati – in futuro certamente arriverà.
Perché – vale la pena ricordarlo – in fondo questa volta ci è andata abbastanza bene. Al di là della somma algebrica delle vittime, sempre strazianti, e del dolore individuale e civile, esiste una realtà numerica che non possiamo dimenticare. Pur essendo una malattia molto perniciosa, con conseguenze profonde sulla salute, la sindrome da Covid 19 presenta un tasso di mortalità relativamente basso (calcolato ad oggi intorno al 2-3%). Altre patologie virali invece hanno avuto – limitatamente alla popolazione colpita – incidenze ben maggiori. La SARS (2002/2003) ha mostrato una mortalità del 9/10%, mentre la MERS addirittura un tasso del 35%.
Al posto di una “semplice” (diciamo così) sindrome da stress respiratorio acuto, il Covid 19 avrebbe potuto colpire tutto l’organismo con esiti ben più letali. Avrebbe potuto accanirsi anche sui bambini e sulle donne (mentre pare che entrambe le categorie siano abbastanza immuni alle infezioni acute) provocando un’ecatombe. Con tutti i distinguo del caso, se fossimo incappati in un’epidemia con un tasso di mortalità pari a quella dell’influenza spagnola del 1918, avremmo potuto registrare anche decine o centinaia di milioni di morti. Un’ordine di grandezza inferiore a quanto – ecco la “fortuna” di cui parlavamo – ci è capitato di sperimentare.
Prendere misure epocali perché avvenimenti di questo tipo non si ripetano non è solo una possibilità. E’ un dovere planetario. Ricominciare con la medesima condotta del passato – condotta che, ne parleremo più avanti, è stata la causa principale dell’emergenza presente – sarebbe come ignorare le lezioni che questa esperienza ci potrebbe fornire.
Perché, e questo è un altro dato certo, per quanto le pandemie siano un fenomeno “naturale” è altrettanto sicuro che l’impatto delle scelte umane ha determinato e orientato sia il modo in cui questa epidemia ha avuto luogo sia la velocità con cui si è propagata.
Seguendo questo ragionamento possiamo quindi individuare alcune linee guida per l’immediato futuro e per gli anni a venire. Elementi che, ci auguriamo, dovranno costituire la prima voce delle varie agende politiche una volta esaurita l’emergenza. L’agenda del futuro, appunto.
Cominciamo da una visione d’insieme. Le conseguenze di questa pandemia avranno severe ripercussioni in molti campi. Tutte però faranno capo a quattro macro-aree, tra loro intrecciate, che analizzeremo brevemente qui per poi riprenderle nelle varie sezioni di questo sito.
Ridurre drasticamente la prossimità delle persone e moderare le aree di contatto. Diminuire gli spostamenti, siano essi di tipo turistico, lavorativo o culturale. Dotarsi di una infrastruttura che consenta di costruire e distribuire contenuti attraverso sistemi che prescindano (o limitino) la presenza fisica. Queste sembrano essere le principali direttrici che orienteranno il nostro immediato futuro.
Che il virus si muova con le merci e con le persone è fatto ormai appurato. Solo l’isolamento sociale è in grado di ridurre i contagi e dissolvere i focolai. Questo semplice principio – che viene oggi applicato, come fosse una panacea, da tutti i governi su base planetaria – è il solo rimedio che sembra funzionare. Il fatto che non vi siano alternative praticabili, oppure non vi siano proposte più efficaci, certifica questa tesi. Mantenere una rigorosa distanza sociale (e forse anche un fermo strategico di molte merci) sarà lo scenario che avremo di fronte nei prossimi mesi, forse anni.
Per fare fronte a questa nuova lontananza indotta, una delle prime strategie da mettere in campo verterà senza ombra di dubbio nello sviluppo di nuove tecnologie digitali di comunicazione. Ampliando, accelerando e facendo evolvere i sistemi già disponibili, si approderà a protocolli condivisi, completamente digitalizzati, come alternativa alla presenza fisica degli individui.
Queste innovazioni investiranno tutti i campi di interazione sociale creando nuove forme di lavoro (una sorta di estensione del concetto di telelavoro) e di studio (con nuovi esperimenti di apprendimento digitale e didattica remota). Insieme, si affacceranno nuovi e più immediati strumenti per lo shopping online, lo scambio di denaro, la condivisione e la sottoscrizione di documenti e così via.
La drastica chiusura a cui è stata sottoposta gran parte della popolazione mondiale ha mostrato un fatto inequivocabile. Quanto l’utilità della tecnologia non possa essere confinata al solo ruolo di orpello giovanilistico né a quello di un passatempo riservato ai tecnici della materia.
La tecnologia – strumenti di comunicazione in primis – fino ad oggi era considerata un vettore della lontananza tra le persone. Ricordiamo bene le nenie insopportabili degli “esperti” che sancivano quanto la tecnologia avesse allontanato le generazioni (i padri dai figli, i coetanei tra loro ecc.) e in qualche modo diradato i contatti umani.
Paradossalmente invece, e lungo tutto questo lockdown, è stata proprio la tecnologia ad essere vettore di unione, vicinanza, prossimità. I device portatili hanno riunito le famiglie. Il web ha permesso di continuare a lavorare, seppur con molte limitazioni. Alcune applicazioni hanno concesso di fare la spesa (conservando una parvenza di normalità domestica) mentre altre hanno segnalato contagi, zone a rischio, situazioni emergenziali.
Per una strana alchimia dei processi umani, gran parte della popolazione mondiale ha fatto pace con la tecnologia proprio in questa fase drammatica. Mostrando tra l’altro quanto un certo disprezzo strumentale dei nuovi apparecchi digitali sia una sorta di lusso intellettuale (“borghese”, si sarebbe detto un tempo) concesso a chi non conosce il peso delle limitazioni fisiche o spaziali.
Non solo: la pandemia ha costretto a ripensare l’intera architrave economica alla luce della strategica importanza della tecnologia. Infatti il sistema industriale nel suo complesso è arrivato del tutto impreparato ad un evento di questa portata. Molte aziende (o intere filiere) sono state fermate con espliciti provvedimenti legislativi poiché non considerate sicure per i lavoratori. Ad altre è stato concesso di proseguire, ma solo per fare fronte alle esigenze di approvvigionamento dei cittadini. In ogni caso, le imprese sono state chiamate ad assumersi la responsabilità della propria sicurezza interna al fine di evitare il contagio di pletore di lavoratori e trasformare i luoghi di lavoro in potenziali epicentri della malattia.
In un caso oppure nell’altro, è palese quanto il sistema industriale non abbia retto il colpo. Non è stato possibile garantire continuità nella gestione delle merci e si è verificato uno stallo che si è allargato a macchia d’olio, indipendentemente dal settore economico.
La sola strategia utile ad arginare problematiche di questo tipo consisterà nel ripensare l’industria alla luce delle nuove tecnologie. Per cominciare, l’automazione serrata dei processi di produzione (una sorta di robotizzazione diffusa) e la ferrea digitalizzazione delle filiere produttive saranno i soli strumenti capaci di garantire un flusso costante di produzione nonostante l’evoluzione di questa e di altre crisi future.
Naturalmente, questo stravolgerà l’intero settore lavorativo, costringendo folle sterminate ad un ricollocamento forzato in diversi settori produttivi. Di questo aspetto, importanti saranno due processi: la perdita di centralità del lavoratore (e dei suoi strumenti di rappresentanza) e la conseguente necessità di immaginare una forma di reddito universale che tuteli la parte più debole della popolazione.
La quasi totalità delle imprese mondiali, ubriacate dal folle processo di delocalizzazione avvenuto nell’ultimo trentennio, ha fatto della manodopera a basso costo e della facilità di trasporto il fulcro della competizione ed il grimaldello attraverso cui realizzare profitti stellari.
La scelta di produrre seguendo la sola logica del basso salario e del trasporto su scala planetaria ha richiesto la necessità di sventrare e urbanizzare vaste zone del pianeta, costruire piattaforme logistiche invasive ed inquinanti, popolare il pianeta di navi, aerei, treni al solo fine di spostare merci prodotte in altri luoghi.
Ma l’evidente disastro ecologico che tutti ben conosciamo, non ha soltanto una motivazione logistica. La crescente domanda di materie prime e di prodotti di origine animale (a questo argomento dedicheremo un capitolo) ha costretto molti Paesi a privatizzare e svendere immense aree verdi per sostituirvi allevamenti intensivi oppure terreni da coltivare a nutrimento per questi stessi animali. Il ruolo che ha giocato il depauperamento ambientale, la deforestazione spinta, la violazione dei grandi ecosistemi mondiali è centrale per capire come il Covid 19 si sia sviluppato e propagato.
Per evitare una nuova epidemia – che non è solo possibile, ma vicina con un tasso di probabilità crescente – sarà necessario agire radicalmente per modificare lo stato delle cose. Una profonda riflessione sulle dinamiche di consumo, insieme a provvedimenti draconiani in questo senso, rappresenterà il banco di prova che permetterà di allontanare il pericolo di una nuova pandemia. Pandemia che, in assenza di risposte strutturali, rischiamo di sperimentare a stretto giro una volta terminata l’emergenza presente.
Di più: sembra ormai acclarata la correlazione tra diffusione del virus, inquinamento da particolati e circolazione delle masse d’aria. Questa evidenza – che permetterebbe di spiegare anche alcuni elementi stridenti a livello statistico tra cui l’incidenza del virus in aree altamente produttive come la pianura Padana – dovrà condurre ad un profondo ripensamento delle aree sovraurbanizzate e drasticamente antropizzate.
Molti pagheranno il conto di questa pandemia. Tra tutti, il comparto del turismo e quello dei trasporti di massa. Un crollo verticale delle attività legate a ristorazione, accoglienza, creazione di esperienze ecc., sarà solo il primo elemento. A seguire assisteremo ad una prevedibile contrazione di tutti i sistemi di mobilità, soprattutto quelli a basso e medio costo, del settore aereo. Le grandi aziende che si occupano di trasporto, naturalmente non spariranno: ma offriranno servizi più costosi, orientati secondo criteri di priorità e mediati da controlli e procedure di validazione della salute del viaggiatore.
Tra tutti i provvedimenti che i vari Stati saranno chiamati a prendere per fronteggiare le conseguenze della pandemia, non possiamo dimenticare tre punti fondamentali. Innanzitutto la revisione delle politiche immigratorie. E questo – va detto subito per disinnescare equivoci e appartenenze di bassa lega – senza alcun riguardo della Nazione da cui provengono le persone.
Poi occorrerà discutere di sistema sanitario e della sua importanza strategica. Rafforzamento dei presidi ospedalieri locali, investimenti sulla ricerca, analisi di strategie atte a prevenire contagi di massa, piani di emergenza, formazione di personale straordinario, approvvigionamento di materiali sanitari tramite la fondazione di industrie nazionalizzate. Questi i primi passi.
Infine – non per caso – parleremo del nodo dolente. Di come rifornire e alimentare le casse statali, chiamate ad uno sforzo immane durante questa emergenza. Una strategia di recupero del reddito nazionale che si dovrebbe innestare sopra provvedimenti planetari mirati, naturalmente. Misure pensate per concedere quello spazio di manovra che ogni Paese dovrebbe permettersi senza per forza alimentare un debito pubblico che affosserebbe le economie nazionali e ridurrebbe gli Stati a fantocci privi di sovranità reale.
Di tutto questo parleremo nelle prossime pagine. Partendo da queste quattro aree di analisi, infatti, cercheremo di immaginare come sarà il futuro post-Covid 19. Un futuro di cui non è ancora possibile indagare il segno ma che certamente condurrà ad una vita diametralmente diversa da quella che conosciamo.
Questa lunga premessa – necessaria per introdurre un argomento tanto vasto – basterebbe ad evidenziare le profonde diversità che investiranno la comunità umana nell’immediato futuro. Da qui, la necessità di ripensare il domani, soprattutto nei caratteri che fino a qualche mese fa apparivano “normali” e, in qualche modo, definitivamente acquisiti.
Siamo consci che di solito i grandi cambiamenti faticano ad imporsi in modo efficace ed immediato. La resistenza e l’attrito dei molti attori coinvolti (timorosi di perdere le proprie posizioni di rendita o di dover impiegare nuovi sforzi per mantenerle) solitamente permette di mitigare l’azione di rinnovamento.
Ma in questo caso, possiamo pensare che il periodo della post-epidemia vedrà cambiamenti sostanziali che non saranno imposti dall’alto attraverso provvedimenti muscolari e percepiti come forzature. Al contrario, saranno le stesse popolazioni a richiedere un cambio di rotta importante, sulla scia emotiva degli avvenimenti appena successi e sotto la minaccia di nuovi periodi di lockdown all’orizzonte.
Comprendere la portata di queste richieste – incluse le derive filosofiche, morali e umane che scelte di questo tipo comporteranno – sarà il solo strumento utile a disinnescare tutte le pericolose derive autoritarie che presuppongono il dominio dei pochi sui molti.
Come si capirà leggendo queste pagine, la prospettiva di una nuova pandemia potrebbe essere all’orizzonte e non dietro di noi. Gli studiosi ci assicurano che sarà così: hanno solidi argomenti per affermarlo. Di fronte alla certezza che avvenimenti come questo semplicemente accadano ancora, capire il “quando” e il “come” e non più il “se”, pone noi tutti di fronte alla possibilità di essere attori consapevoli degli sviluppi in corso. Il nostro ruolo sarà quello di rimanere vigili ed influenzare le scelte future con la diffusione della conoscenza e l’elezione di leader fortemente motivati al cambiamento. Perché se i centri di potere economico e politico agissero in modo cieco e sordo, come hanno fatto in passato, le grandi comunità mondiali sarebbero relegate al solo ruolo di spettatori passivi da convincere oppure, e sarebbe peggio, a quello di elettori/utenti da arruolare.
Qui termina questa lunga introduzione, queste sono le premesse che possiamo porre a questo punto. La mano di carte che vediamo in questo momento, in pieno vertice dell’epidemia, alla vigilia di nuove aperture controllate. Chiudiamo quindi con una precisazione: questo sito non rappresenta una serie di notizie raccontate con intento descrittivo o cronachistico. Al contrario è una riflessione libera da pregiudizi su quello che potrà avvenire: un’azzardo, un’ipotesi, una scommessa. Ma una scommessa che vale la pena fare per non trovarsi impreparati e non rimanere allibiti di fronte a quello che ci riserverà la cronaca, l’economia e la politica. Questi testi rappresentano il desiderio di riflettere guardando al futuro, bello o brutto che sia.
Progetto collettivo di analisi socio-politica sul Covid 19. Scenari post Coronavirus: opportunità e vicoli ciechi. Cosa possiamo imparare dall’epidemia di Covid 19. Tutto il materiale contenuto nel sito è riservato e non può essere riprodotto senza l’esplicito consenso degli autori.
Testi aggiornati il 4 maggio 2020.
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