NODO 1
Un nuovo concetto
di distanza
Dalla distanza interpersonale e di relazione ad una diversa fruizione dei contenuti
Dalla distanza interpersonale e di relazione ad una diversa fruizione dei contenuti
e gestione remota delle occupazioni
L’urgenza educativa e produttiva del periodo pandemico ha sfatato uno dei miti che parevano incrollabili fino a pochissimi mesi fa. Ci riferiamo alla possibilità di gestire in modo efficace gli impegni professionali e scolastici da remoto.
Al netto di un ovvio periodo di assestamento dei sistemi e delle tecnologie, è evidente che la necessità di essere presenti in azienda per poter svolgere le proprie mansioni è stata per lungo tempo un paravento con cui le aziende hanno mascherato altri scopi ed altre verità.
Da una parte la volontà di controllare il dipendente nella più canonica impostazione occupazionale otto-novecentesca. Dall’altra l’incapacità (o la mancata volontà) di cementare un rapporto di fiducia con i collaboratori sul lungo periodo.
In questo modo è stato possibile manipolare, a vantaggio della parte più forte, la sproporzione di potere contrattuale tra azienda e dipendente. Inoltre tutto questo ha consentito di usufruire di un mirato turnover del personale e di una progressiva svalutazione delle retribuzione professionali.
Ma al di là di questa impostazione mentale – superata dalla storia e che denota mancanza di lucidità e fiducia in certa classe dirigente ed amministrativa – e nonostante resti evidente la necessità della presenza fisica per alcune tipologie di lavori, è possibile fin da subito identificare una pletora di occupazioni adatte alla migrazione digitale. Si tratta di lavori che, pur potendo essere svolti da remoto senza apparenti problemi, sono stati relegati in maniera deliberata ad un forzato vincolo di fisicità.
Usando come parziali giustificazioni il sostanziale gap tecnico di alcune città (debolezza delle reti di collegamento, mancanza di affidabili sistemi di rilevazione della presenza e così via) o l’inadeguatezza delle norme in materia, si sono mantenute per decenni delle tradizioni occupazionali giurassiche. Il tutto a spese dei consumi (inutilmente incrementati), dell’ambiente e delle risorse disponibili (inutilmente depauperate). Per anni abbiamo assistito a file interminabili di auto verso le città, uffici inutilmente riscaldati e illuminati, mezzi di trasporto inefficienti, sporchi e congestionati: chiunque abbia viaggiato per lavoro conosce bene questa evidenza.
Digitalizzare le professioni, alleggerendo gli spostamenti per tutti quei lavoratori chiamati a svolgere impieghi legati all’uso di un terminale o di un device, sembra ora un processo non più rimandabile. Nella stessa maniera, la pandemia ha mostrato la fragilità delle argomentazioni della classe dirigenziale, imponendo un precedente che – in fase contrattuale o sindacale – non potrà più essere ignorato.
Ma questo nuovo approccio di gestione remota dei contenuti non ha riguardato solo il settore lavorativo. Anche la scuola è stata pesantemente cambiata dall’emergenza in atto. Una volta superato lo spaesamento iniziale (soprattutto sperimentato dal corpo docente) e approntata una decente infrastruttura tecnologica – elementi che richiederanno del tempo per essere risolti ma che rappresentano in fondo il minore dei problemi – sarà possibile frequentare la scuola con efficienti sistemi di presenza virtualizzata.
Una precisazione: non è ancora chiaro se la “soluzione digitale” sia necessariamente la più efficiente per migliorare l’istruzione del Paese e per gestire gli alunni in una fase così delicata come l’infanzia o l’adolescenza. Tuttavia, rimanere ancorati solo ad impostazioni passate, restando ciechi e sordi di fronte alle nuove possibilità didattiche, fa precipitare l’istruzione in un abisso che non sembra certo un punto di arrivo desiderabile. Proviamo a delineare qualche scenario futuro per i sistemi di apprendimento.
Ormai sono innumerevoli gli studi medici e pedagogici che invitano a riflettere sul concetto di istruzione frontale, prolungata per sei/otto ore al giorno, calata dall’alto e con una dicotomia netta tra cattedra e banco. Ed ecco perché uno dei frutti paralleli di questo cambiamento storico poterebbe riguardare proprio la qualità dell’insegnamento.
La scuola potrà riportare in agenda l’istruzione, intesa come processo di vero apprendimento, e non solo la ribadita equazione che lega un docente ad un certo numero di alunni da gestire.
Si potrebbe facilmente arrivare alla situazione in cui pochi insegnanti veramente qualificati, capaci di coinvolgere e affascinare, abili nel fare comprendere profondamente i concetti, avranno di fronte platee molto vaste. Magari poi supportati da un gran numero di moderatori o tecnici che gestiranno le singole unità di apprendimento o coordineranno le esercitazioni.
In questo sistema, scuole diverse faranno a gara per accaparrarsi i migliori docenti e si instaurerà una competizione sana e meritocratica tra questi ultimi per svolgere la loro funzione nell’istituto più blasonato. Cosa che accade, già oggi, per molte Università.
Non essendoci virtualmente limite al numero di studenti collegabili alla medesima lezione, tantissimi ragazzi potranno assistere a lezioni di alto livello, modulare il proprio sistema di apprendimento in modo individualizzato così da non costringere il gruppo classe ad un andamento innaturale. Lezioni da tutto il mondo, in tutte le lingue, con sistemi approfonditi di lecturing e gestione delle singole difficoltà.
In questo scenario, vero elemento discriminante sarà la qualità della connessione e la presenza di un sistema per determinare l’interattività dello scambio virtuale e l’affidabilità del sistema di controllo dello studente (presenza, puntualità, attenzione, veridicità degli esami sostenuti ecc.).
In generale assisteremo quindi ad un maggiore investimento sulla qualità del docente e ad una minor rilevanza della scuola come infrastruttura e istituzione. Maggiore spazio alla digitalizzazione delle aule (che assomiglieranno più a set cinematografici che a polverosi locali con la lavagna ed i gessetti, come accade oggi) ed a tutti gli apparecchi di gestione della presenza dello studente, della sua effettiva partecipazione (proattiva, si direbbe) alla lezione.
Il tutto, naturalmente, con in testa il solo traguardo dell’evoluzione della didattica, a partire dalla capacità di consapevolezza, analisi e riflessione degli alunni coinvolti. Del resto, se la cessione della dimensione fisica della scuola è una necessità, occorre almeno che questa cessione sia fatta di fronte ad una contropartita vantaggiosa ed incisiva.
A proposito: a chi obietta che in questo modo si perderebbe l’interazione umana tra studenti e docenti, è facile rispondere. Innanzitutto, liberare maggior tempo per i ragazzi significa dare loro la possibilità di avere nuove occasioni di vita, anche non virtuale. Sarà poi l’educazione (genitoriale, pubblica e civica), insieme alla capacità di partecipazione collettiva, a diventare il vero fondamento della qualità di queste relazioni. Inoltre, la scuola potrebbe anche organizzare incontri de visu, ma episodici e ciclici, così da verificare l’andamento dello studio ed i risultati raggiunti all’interno di piccoli gruppi affini per curriculum, capacità di apprendimento ed estrazione culturale.
L’idea di una scuola a prescindere migliore solo perché “fisica” è un mito che andrebbe valutato con attenzione. Basta frequentare una classe, di qualsiasi ordine e grado, in qualunque giorno della settimana, per osservare i limiti di questo pregiudizio. Allievi assenti, spalmati su banchi e pervasi da un’apatia deprimente. Docenti spesso impreparati che rimandano a memoria la stessa lezione da anni, senza alcuna propensione comunicativa. Programmi scolastici fabbricati in serie, soffocati da protocolli ottocenteschi. Auspicarsi un subitaneo ritorno a “questa” scuola suona forse comodo per chi deve gestire il problema dei bambini e la loro collocazione in orario lavorativo. Molto meno per chi ha a cuore l’apprendimento e la formazione di un individuo consapevole.
Scuole e lavoro dovranno emanciparsi da un retaggio di regole calcificate. Solo guardando con ottimismo alle possibilità future si potrà costruire un sistema di consuetudini e protocolli che incrementi l’efficacia didattica e produttiva.
Progetto collettivo di analisi socio-politica sul Covid 19. Scenari post Coronavirus: opportunità e vicoli ciechi. Cosa possiamo imparare dall’epidemia di Covid 19. Tutto il materiale contenuto nel sito è riservato e non può essere riprodotto senza l’esplicito consenso degli autori.
Testi aggiornati il 4 maggio 2020.
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